È recente la notizia di un’invasione di meduse nel Golfo di Trieste: migliaia di esemplari hanno letteralmente ricoperto la superficie dell’acqua formando un tappeto galleggiante e gelatinoso.
Il fenomeno, forse qualcuno lo ricorderà, si era già verificato nella primavera 2021 e dopo un breve periodo si era risolto. Questa nuova invasione evidenzia un disequilibrio negli ecosistemi marini che non va sottovalutato. È un campanello d’allarme innescato non solo dall’aumento delle temperature ma anche dall’azione delle correnti marine e del vento oltre che dalla pesca intensiva.
Invasione di meduse, una sentinella da non sottovalutare
Il riscaldamento globale provoca l’aumento delle temperature del mare che favorisce e allunga il periodo di proliferazione delle meduse le quali, in questo modo, hanno un ciclo vitale più lungo. In primavera, periodo in cui si verifica abitualmente la “fioritura” delle meduse, gli organismi gelatinosi rimangono in superficie dove l’acqua è più calda e dove il loro nutrimento, il plancton, abbonda.
I venti forti, poi, associati alle correnti marine portano in superficie, con la loro azione, le meduse che vengono spinte sotto costa e concentrate in punti specifici.
La pesca intensiva crea squilibri nella catena alimentare sottraendo specie ittiche che si nutrono di fitoplancton e zooplancton (tra cui si annoverano gli stadi larvali delle meduse) promuovendo così la loro proliferazione.

Oltre a Trieste l’invasione di meduse sta interessando altre parti d’Italia come il Golfo di Napoli e la penisola sorrentina, dove si stanno sviluppando specie molto più urticanti di quelle del mar Adriatico.
L’invasione di meduse, complici le cause prima elencate, è un fenomeno che probabilmente si verificherà con più frequenza e in maniera sempre più diffusa. Per arginarlo bisognerà creare dei piani d’azione mirati che saranno attuabili solo attraverso la collaborazione tra esperti ed amministrazioni politiche.
